Rocca di Monfalcone

Tra l'età del bronzo e l'età del ferro le pendici del Carso che circondano Monfalcone videro l'insediamento di diversi agglomera...



Tra l'età del bronzo e l'età del ferro le pendici del Carso che circondano Monfalcone videro l'insediamento di diversi agglomerati protetti da mura che prendono il nome di castellieri. Costruiti forse da popolazioni illiriche, questi insediamenti sorsero in posizioni strategiche atte a controllare le vie di scambio commerciale. La caratteristica principale dei castellieri era la cinta muraria costruita a secco con pietre calcaree che poteva raggiungere i sette metri d'altezza per cinque di larghezza. Solitamente sviluppati in forma circolare seguendo l'andamento del terreno queste strutture accoglievano al loro interno abitazioni generalmente costruite in legno i cui abitanti si sostenevano di agricoltura, allevamento e caccia.

Secondo in ordine di fondazione (il più antico è quello della Gradiscata), il castelliere del monte Falcone, nacque attorno al 1300 a.C e cominciò a perdere importanza, così come gli altri siti (Gradiscata, Moschenizza, monte Golas e Forcate), tra V e IV secolo a.C per essere poi occupato forse in epoca romana ed infine lasciare spazio alla costruzione della Rocca medievale, di cui probabilmente le antiche mura a secco del castelliere formavano una prima cinta difensiva esterna. Il primo e ancora oggi principale studio sui castellieri del Carso isontino si deve a Carlo Marchesetti, direttore del Civico museo di storia naturale di Trieste che, dopo una serie di campagne esplorative, pubblicò nel 1903 "I Castellieri preistorici di Trieste e della Regione Giulia". In seguito i combattimenti della Grande Guerra distrussero ciò che rimaneva dei castellieri studiati da Marchesetti e purtroppo oggi delle strutture murarie rimangono solo tracce del vallo crollato, di cui dall'alto è ancora possibile riconoscere il perimetro. 



Nonostante la città non fosse estranea a contatti con i veneziani già durante il governo patriarcale, il dominio della Serenissima su Monfalcone iniziò nel 1420 quando le truppe comandante dal provveditore Marco Bragadin invasero la Patria del Friuli, zona strategica per assicurare a Venezia un maggior controllo dei suoi possedimenti di terra. Le forze del patriarca Ludovico di Teck non ricevettero il supporto sperato da parte de re d’Ungheria e Boemia Sigismondo di Lussemburgo, fortemente impegnato nella guerra con gli hussiti, e nonostante i tentativi di Ludovico di riconquistare il territorio perduto, il potere temporale del Patriarca di Aquileia ebbe termine.


Nel luglio del 1420 Monfalcone si sottomise alla Serenissima e al posto di Giovanni Mildelfer, ultimo capitano patriarcale, venne posto un podestà, Giovan Benedetto Molin.

La guarnigione della Rocca, formata da circa trenta uomini, resistette per diverse ore ma infine capitolò alle preponderanti forze veneziane. La fortificazione sul monte Falcone divenne quindi il presidio di terraferma più orientale di Venezia e venne posta sotto il comando di Marco Salamon, un patrizio veneto che assunse il titolo di castellano. Riconosciuto l’importante ruolo strategico della Rocca, tra il 1421 e il 1457 vennero svolti diversi lavori di restauro delle mura e potenziamento delle difese della fortezza, dotandola di nuove bocche da fuoco. Purtroppo oggi non sono note immagini della Rocca precedenti al 1483, quando questa venne raffigurata da Marin Sanudo nel suo “Itinerario per la Terraferma veneziana” 





Il ruolo di comandante del presidio della Rocca veniva affidato da Venezia ad un rappresentante della piccola nobiltà che, una volta ottenuta la nomina a castellano, ricopriva tale carica per tre anni. Il primo patrizio ad assumere questo ruolo, all’indomani della conquista veneziana di Monfalcone, fu Marco Salamon. Per la Serenissima non fu sempre facile trovare dei patrizi disposti a sistemarsi a Monfalcone in una piccola fortezza come la Rocca, soprattutto nei momenti più difficili legati a guerre e invasioni. Furono proprio le prime incursioni turche nel 1470 a causare il rifiuto dell’incarico da parte di molti nobili, un problema a cui Venezia rispose aumentando il salario del castellano da 50 a 60 ducati mensili. Nonostante ciò, durante la ricostruzione della fortezza svoltasi a più riprese durante il XVI secolo, il comando venne spesso assunto da un capitano, spingendo il luogotenente della Patria del Friuli Giovanni Moro a sottolineare l’opportunità della nomina di un “castellano zentilhomo” per tenere sotto controllo il problematico comportamento della guarnigione. Nel 1564 si decise di procedere con la scelta di un nobile “come soleva esser per il passato”, fornendo una paga di 15 ducati al mese ma togliendo l’obbligo della contumacia, cioè il periodo tra un incarico e l’altro in cui il patrizio non poteva ricoprire ruoli pubblici, cercando quindi di rendere appetibile l’accettazione della carica. Il nobile scelto per sovrintendere alla fortezza monfalconese, una volta ricevuta la nomina, doveva partire entro quindici giorni e non avrebbe potuto abbandonare la Rocca fino all’arrivo del successore. Terminata la costruzione dell’alloggio del castellano la carica venne infine accettata da Vincenzo Sagredo nel 1553. La dimora del castellano, purtroppo oggi non più esistente, si alzava dalla cinta della Rocca sul lato del ponte d’ingresso alla fortezza


Immagine: Disegno prospettico della Rocca di Monfalcone, secolo XVII, raccolta Terkutz

L'alloggio del castellano è l'edificio sopra l'ingresso della fortezza 




Le incursioni turche in Friuli ebbero luogo durante le lunghe lotte tra la Serenissima e il sultano Mehmet II avvenute nella seconda metà del quattrocento. Delle prime esplorazioni ottomane in Istria ebbero luogo tra il 1469 e il 1472, anno in cui una colonna di cavalleria leggera di diverse migliaia di uomini evitò Monfalcone, murata e supportata dalla Rocca, raggiungendo l'Isonzo e dilagando nella pianura friulana per fare ritorno con un gran numero di prigionieri e bottino. In risposta a questa situazione precaria Venezia inviò in Friuli il condottiero Deifobo dell'Anguillara e decise di costruire la fortezza di Gradisca. Una nuova incursione in forze ebbe luogo nell'ottobre 1477 e vide un grosso scontro tra Mossa e Lucinico, dove le truppe ottomane comandante da Iskender Beg, con la complicità di Leonardo conte di Gorizia, sconfissero le truppe venete comandate da Gerolamo Novello Allegri, dilagando poi fino al Piave. La primavera successiva una scorribanda minore puntò sul monfalconese con gravi distruzioni dei borghi non protetti, mentre la città murata e la Rocca vennero evitate dagli ottomani in favore di prede più facili. Dopo pochi mesi una nuova incursione venne intrapresa con l'obiettivo di distrarre i veneziani dall'attacco ottomano contro Scutari ma senza riuscire a superare le difese sull'Isonzo affidate ai veterani di Carlo Fortebraccio. L'ultimo attacco ebbe luogo tra la fine di settembre e i primi di ottobre del 1499 sotto il sultanato di Bayezid II, figlio di Mehmet II e portò grandissimi danni, con la distruzione di più di cento località e borghi. Prima di superare l'Isonzo tra Cassegliano e San Pier d'Isonzo, una parte degli attaccanti saccheggiarono i villaggi del monfalconese, senza essere ostacolati ne dalla guarnigione della Rocca comandata da Michiel Salamon ne dal provveditore generale Andrea Zancani, che preferì mantenere le truppe al riparo delle mura di Gradisca.


Immagine: Mehmet II conquista Costantinopoli,

Fausto Zonaro, Olio su tela,1903 


Ai primi del 500 la fortezza ha ormai assunto la forma che vediamo oggi.

Durante la guerra tra la Repubblica di Venezia e la lega di Cambrai (1508-1521) la Rocca subì gravissimi danni, tanto da spingere il luogotenente della Patria del Friuli, Andrea Foscolo, a sottolineare nella sua relazione di fine mandato al Senato veneziano la necessità di provvedere ad una sistemazione della fortezza. Monfalcone era infatti strategica per la sua posizione sul mare e la presenza di una Rocca posta a controllo della città e del suo territorio erano ritenuti di grande importanza. I lavori entrarono nel vivo tra il 1526 e il 1527 quando, secondo la relazione del luogotenente Giovanni Moro, venne ampliato lo spessore delle mura, probabilmente basato almeno in parte sui precedenti interventi quattrocenteschi, dotandole di feritoie per gli archibugi e di un camminamento per permettere alla guarnigione di muoversi lungo il perimetro. Solo due anni dopo, nella relazione di Giovanni Basadona, venne citata la torre centrale, ornata di merli e dotata di artiglieria. Il luogotenente nel suo rapporto indicò come fosse necessario completare la fossa con un muro di controscarpa, chiedendo che da Verona venissero inviati dei "maestri" atti a tale lavoro, perché nella patria del Friuli questi non erano disponibili, sottolineando inoltre l'importanza di una dotazione di armamenti e viveri per almeno tre mesi da conservare all'interno della fortezza. I lavori non vennero completati in tempi brevi e nelle relazioni luogotenenziali venne continuamente fatto cenno ai problemi della Rocca, ad esempio le pessime condizioni delle strutture in legno, messe a dura prova dagli elementi. Nel 1545, sotto la spinta del podestà Girolamo Calbo, il Senato affrontò la situazione con alcuni provvedimenti ma solo nel 1551 ripresero i lavori con la costruzione degli alloggi per il castellano e la guarnigione e l'adattamento a cappella del primo piano della torre, con affreschi oggi purtroppo perduti. L'ultimo intervento riguardò l'ampliamento del fossato e fu spinto dalla paura di minacce verso il Friuli provenienti da est, così nel 1580 vennero impiegati lavoratori proveniente da tutta la Patria per scavare una nuova porzione di roccia carsica, facendo assumere al fossato la conformazione che possiamo vedere ancora oggi. Per permettere di superare la nuova ampiezza del fossato venne prolungato il ponte già esistente, dotandolo di un edificio a guardia dell’ingresso sul muro di controscarpa, di cui oggi rimane solo la base in muratura.

Immagine: Raccolta Terkutz 


Uno dei momenti più difficili per Venezia fu l'unione sancita a Cambrai alla fine del 1508 a cui aderirono la Francia di Luigi XII, L'imperatore Massimiliano I, papa Giulio II, il Regno di Spagna, Mantova e Ferrara con l'obbiettivo di togliere a Venezia tutti i possedimenti di terraferma. La guerra iniziò nella primavera del 1509 e vide una prima grande sconfitta veneziana ad Agnadello, tra Crema e Bergamo, ad opera dei francesi. Ma le difficoltà per San Marco non si addensavano solo da occidente, l'imperatore Massimiliano infatti aprì il fronte orientale invadendo la Patria del Friuli e nel luglio del 1509 le sue truppe devastarono il monfalconese, Ronchi venne bruciata, la città murata di Monfalcone e la Rocca vennero attaccate ma l'arrivo di rinforzi dalla fortezza di Gradisca e la resistenza dei monfalconesi portarono alla ritirata la colonna imperiale. Scorribande e scontri tra gli opposti schieramenti causarono la devastazione di innumerevoli località del Friuli, nel 1511 Gradisca venne occupata dagli imperiali ma un mese dopo la situazione politica spinse Giulio II verso la nascita di una nuova alleanza antifrancese, portando ad una tregua di dieci mesi in Friuli. Presto però Venezia abbandonò la nuova alleanza e si avvicinò alla Francia con il trattato di Bloys del 1513. Fu proprio in quest'anno che, dopo una serie di piccoli scontri tra veneziani e imperiali, questo ultimi attaccarono la fortezza di Marano conquistandola. La reazione veneziana non si fece attendere ma non fu possibile riconquistare la roccaforte, che resistette anche grazie ai rinforzi guidati da Cristoforo Frangipane provenienti da Gradisca. Queste truppe rientrando verso la fortezza si spostarono verso Monfalcone dove conquistarono la Rocca e la distrussero,sterminando la guarnigione. Gli scontri continuarono ancora per due lunghi anni cessando solo nell'agosto del 1516 con il trattato di Noyon, lasciando i territori friulani in una situazione disastrosa, una popolazione allo stremo e innumerevoli località bruciate e distrutte. La Rocca, distrutta dalle truppe imperiali, rimase in rovina fino al 1525 quando Venezia decise di ricostruirla, fu così che la fortezza assunse la forma che la contraddistingue ancora oggi.


Immagine: Allegoria della Lega di Cambrai, Palma il Giovane, 1590 circa. Palazzo Ducale, Venezia 



La guarnigione della Rocca ha svolto il ruolo di prima sentinella del dominio di terraferma orientale della Serenissima. Era composta da un numero di uomini variabile tra 15 e 50 posti sotto il comando di un castellano, ruolo che in assenza di quest’ultimo venne spesso assunto da un capitano. La cronica mancanza di un comando autorevole rappresentò un problema per Venezia e Monfalcone. Non mancarono infatti i casi in cui la truppa, insofferente alle condizioni di vita dentro la Rocca e al ritardo nella consegna della paga, abbandonasse la fortezza mettendo in atto ruberie e atti di contrabbando a danno della popolazione. Una situazione che in alcuni casi venne mitigata dall’opera di alcune personalità come il capitano Francesco da Venezia, citato nella relazione del luogotenente Giovanni Moro e definito “fidelissimo servitor de questo Excellentissimo Stado”. Nonostante il lavoro di alcune figure fedeli al loro compito, il Senato veneziano nel 1561 ordinò che non si lasciassero uscire dalla Rocca più di quattro uomini per volta per non minacciare l’integrità difensiva della fortezza, inoltre due anni dopo venne deciso di inserire un sacerdote nell’organico del presidio, con il compito di celebrare Messa. Con la nascita della nuova e moderna fortezza di Palma, la Rocca di Monfalcone vide il proprio ruolo militare passare in secondo piano e la stessa guarnigione venne messa sotto la direzione del provveditore generale di Palma. Venne deciso quindi di sciogliere il presidio fisso della Rocca e di dare il via ad una turnazione mensile di sedici uomini prelevati dalla guarnigione della nuova roccaforte. Un sistema che non diede buoni risultati perché, come sottolineò il provveditore Giovanni Pasqualigo nel 1611, con la scusa del breve turno presso Monfalcone le milizie non si impegnavano nella manutenzione della fortezza, mettendo invece in atto continui soprusi verso la popolazione locale.


Immagine: Compagnia d'arme Malleus 



All’inizio del Seicento la Rocca si trovava in pessime condizioni, dovute soprattutto al ruolo centrale assunto dalla nuova e moderna fortezza di Palma e ai pochi investimenti che il governo veneziano dedicava alla piccola fortificazione monfalconese. Il Luogotenente della Patria del Friuli Michiel Foscarini, avuto notizia della situazione della struttura, decise di inviare a Monfalcone Ferrante de’ Rossi, che dal 1602 ricopriva la carica di sovrintendente generale delle fortezze della Serenissima, per ispezionare la Rocca e valutarne la capacità difensiva. Rimasto per qualche giorno presso la fortezza il de’ Rossi ne studiò la posizione e le condizioni, consegnando poi nelle mani del Luogotenente un rapporto in cui ne sottolineava le criticità, dovute sia alle ridotte dimensioni che ad alcuni problemi strutturali. Tra questi ultimi identificò soprattutto l’altezza eccessiva della torre e dell’abitazione del castellano, ritenendo gli edifici facili bersagli per l’artiglieria avversaria e pericolosi per i difensori in caso di crollo. Propose quindi di ridurre in altezza la casa del patrizio veneto ed eliminare la torre centrale per togliere un bersaglio ai tiri del nemico, ottenendo così anche un maggiore spazio di movimento all’interno della Rocca. Oltre a ciò non mancarono i suggerimenti su come controllare meglio il territorio circostante la fortezza, allegando alla relazione un particolareggiato disegno raffigurante la posizione della Rocca rispetto ad alcuni punti strategici sfruttabili dal nemico per colpire la fortezza stessa.

Conscio dell’impegno finanziario necessario all’esecuzione dei lavori e delle difficoltà a riguardo, il de’ Rossi concluse la sua relazione auspicando che venissero almeno sistemati gli alloggi della guarnigione, aumentandone illuminazione e mettendoli in condizione di non essere danneggiati dalla pioggia, migliorando così la situazione del presidio.


Immagine: particolare del disegno realizzato da Ferrante de’ Rossi, 1612 





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